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Dopo la conferma della recessione tecnica per l'Italia, i conti pubblici non sembrano lasciare spazi di manovra. Occorre concentrarsi su pochi interventi anti-ciclici per agevolare il recupero del PIL, ma soprattutto su misure che rendano più efficiente il Sistema Paese.
Tra queste, la riforma del sistema fiscale appare una priorità. A partire dall'Irpef, che rimette in sé molte criticità. Il suo peso sul totale delle entrate tributarie è del 28% nel 2017 contro il 22,9% nella media Eurozona.
Alle aliquote nominali si affianca un sempre più complesso sistema di spese fiscali (ben 121 nel 2018). È tra le imposte più evase, derivazione diretta dell'eccessiva complessità, e ciò ne riduce l'efficacia redistributiva oltre a distogliere ingenti somme dalle casse dello Stato (38,5 miliardi nel 2015).
L'Irpef è dunque un'imposta che non funziona più. L'introduzione di una flat tax potrebbe andare nella direzione di risolvere tali questioni, nonostante le criticità dal punto di vista distributivo: potrebbe semplificare il sistema, ridurre i costi di adempimento, far aumentare la compliance fiscale. Ma la flat tax è in grado di generare effetti positivi sulla crescita economica?
Questo dipende da come si disegna, in concreto, e con quale gradualità la si fa entrare in vigore. Sarà importante tenerne conto nella prossima stesura del Documento di economia e finanza (Def).
In “Lettera dall’industria”, la rubrica del nostro Centro Studi per il Corriere L’Economia, l’analisi firmata da Lorena Scaperrotta
Il meccanismo dell'eco-bonus/malus sulle nuove immatricolazioni di auto, che entrerà in vigore a marzo, non solo non incentiva la filiera nazionale dell'automotive ma la indebolisce rispetto alla concorrenza internazionale