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Sebbene contenga alcuni interventi positivi, commentiamo una Manovra che è nel complesso insufficiente rispetto alle esigenze del Paese e rischia di non incidere in modo efficace sulla situazione di sostanziale stagnazione dell'economia.
La Manovra non traccia un disegno di politica economica capace di invertire la tendenza negativa delle aspettative degli imprenditori e dei potenziali investitori, nazionali ed esteri. Anzi, in alcuni casi, produce un effetto opposto.
Oggi il Direttore generale Marcella Panucci è intervenuta per Confindustria di fronte alle commissioni Bilancio di Camera e Senato per l’audizione sulla Legge di Bilancio.
Tra i Paesi avanzati - ha aggiunto - l'Italia è quello che cresce meno, come evidenziano le stime più recenti del Fondo Monetario Internazionale e della Commissione europea. Quest'ultima prevede ormai il ristagno nel 2019 e una variazione di appena lo 0,4% nel 2020.
La domanda interna è l'anello debole dell'economia italiana. In particolare, i
consumi delle famiglie sono fiacchi da oltre un anno. Su di essi pesa l'aumento della propensione al risparmio, fenomeno sottolineato da tempo e attribuibile alla scarsa fiducia sulle prospettive future.
Senza migliori aspettative e alla luce della congiuntura economica è difficile immaginare un'accelerazione degli investimenti privati e, senza quest'ultima, qualsiasi ripresa sarebbe comunque effimera.
L'impostazione generale della Manovra - insieme al decreto fiscale e i recenti sviluppi su Ilva - conferma la tendenza ad alimentare un sistema d'imposizione che scoraggia gli investimenti perché accresce i costi delle imprese, riducendone i margini, e rischia di frenare i consumi, perché si trasferiranno sul prezzo dei beni, agendo in modo analogo a un aumento dell'IVA, che è ciò che si intendeva evitare.
Guardando poi alla vicenda Ilva si dimostra, ancora una volta, l'incapacità del Paese di dare alle imprese regole certe e chiare a supporto degli investimenti, nonché di valutare gli effetti di determinate decisioni sull'economia reale. È utile in proposito ricordare che il concetto di sostenibilità ha una componente ambientale, ma anche sociale e il rischio, in questa vicenda, è che rimanga irrisolta la prima compromettendo anche la seconda.
Al di là di alcune importanti misure di sostegno alle imprese - Industria 4.0, incentivi ristrutturazioni ed efficienza energetica, credito d'imposta Sud - e della disattivazione delle clausole di salvaguardia, manca una visione di politica economica coerente con gli obiettivi auspicati dal mondo produttivo.
La plastic tax, che non comporta benefici ambientali, penalizza i prodotti e non i comportamenti e rappresenta unicamente una leva per rastrellare risorse.
Pur dando atto al Governo - ha aggiunto il Direttore Panucci - di aver avviato ora un confronto con gli attori interessati, la plastic tax danneggia pesantemente un intero settore produttivo, che è il secondo in Europa, con effetti negativi anche per chimica e comparti utilizzatori di imballaggi.
Rappresenta infatti una sorta di doppia imposizione, perché le imprese già oggi pagano il contributo ambientale Conai per raccolta e riciclo di imballaggi in plastica e determina un aumento medio del 10% del prezzo di prodotti di larghissimo consumo, contribuendo a indebolire la domanda interna con un impatto sulla spesa delle famiglie stimabile in 109 euro annui.
Valutazione simile per la sugar
tax, che potrebbe produrre una riduzione del 10-15% dei fatturati delle imprese del settore, in assenza di evidenze circa i benefici per la salute.
Confidiamo che il dibattito parlamentare possa risolvere le criticità che abbiamo evidenziato e porre almeno le premesse di una incisiva azione di rilancio.
È una contraddizione, infatti, prevedere l'avvio di un percorso di riduzione del cuneo fiscale a vantaggio dei lavoratori e il contestuale innalzamento della tassazione sulle auto aziendali, che rappresenta una vera e propria stangata per circa 2 milioni di lavoratori, oltre a incidere su un settore economico, quello dell'automotive, già penalizzato su altri fronti.
Di fatto si tassa un bene che è già tassato e lo si fa intervenendo sulla busta paga dei dipendenti e sugli oneri contributivi dei datori di lavoro.
Poniamo all’attenzione di Governo e Parlamento l’urgenza di una grande operazione di realismo e di un piano di medio termine che non penalizzi l’unica vera risorsa Paese, ossia i luoghi del lavoro.
Un piano che riduca i divari tra persone, territori e imprese, incrementando le occasioni di occupazione qualificata e favorendo gli investimenti in infrastrutture e innovazione, e che riattivi l’ascensore sociale, puntando sulla formazione, sull’innovazione e sulla nostra creatività, intesa come intelligenza e capacità di reazione.
Un piano che sia saldamente fondato su almeno tre pilastri:
In conclusione, quello che immaginiamo è un piano che induca tutti, forze politiche, economiche e sociali, a fare del rilancio del Paese la grande missione dei prossimi anni.
Confidiamo che il dibattito parlamentare sulla Manovra possa risolvere le criticità che abbiamo evidenziato e porre almeno le premesse di questa incisiva azione di rilancio.