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Da sempre la testa in Europa e i piedi nei territori. Èquesto il DNA che da 60 anni caratterizza Confindustria che fu la prima tra le Confindustrie europee ad aprire un suo ufficio di rappresentanza a Bruxelles, nel lontano 1958.
Per questo motivo, in questo primo incontro che il nostro Comitato di presidenza ha avuto ieri, a Bruxelles, con il neo ministro per le Politiche europee Vincenzo Amendola, la Rappresentanza permanente, i funzionari italiani egli europarlamentari, abbiamo ribadito che vogliamo contribuire a migliorare il posizionamento italiano nella UE e l'importanza di saper costruire sinergie in Europa.
In questi anni abbiamo lavorato spesso molto bene con gli eurodeputati italiani e con la Rappresentanza permanente per portare avanti battaglie per la promozione e la difesa degli interessi del Paese.
Si può fare di più e meglio. L'Italia può e deve giocare un ruolo propulsivo in questa nuova stagione istituzionale. Il Governo ha imboccato il sentiero giusto, l'unico possibile: stare a Bruxelles, cercando di creare alleanze per promuovere gli interessi italiani e contare di più.
Confindustria, da anni, fa la sua parte, ovvero lavorare insieme alle altre Confindustrie europee: con gli amici tedeschi di BDI da ormai 9 anni organizziamo bilaterali a Bolzano, mentre con i francesi del Medef lo facciamo da due.
Un tassello importante di questa collaborazione sarà l'organizzazione a Roma, il 4 e 5 dicembre, del primo trilaterale Confindustria-BDI-Medef. Insieme ci confronteremo per presentare alla UE e ai nostri governi, soluzioni per rafforzare la crescita, la competitività e creare posti di lavoro.
Certamente, per Confindustria ci sono alcuni cantieri prioritari. In un momento in cui il malcontento verso la UE è forte, sono necessari investimenti coerenti. L'approccio europeo agli investimenti è stato finora timido.
Da qui la proposta del piano da mille miliardi, per R&I, Infrastrutture e Digitale, e dei project bond. Il rischio da scongiurare è che l'Europa si trasformi in importatore di tecnologie e di manifattura, con una grave perdita di posti di lavoro, know-how e ricchezza.
Per questo occorre rimettere al centro dell'agenda la politica industriale, che sappia però declinare il tema della sostenibilità anche in chiave economica e sociale per gestire al meglio i costi e le opportunità della transizione.
Soprattutto ora che, con una guerra commerciale alle porte, la UE rischia di fare, tra Cina e Usa, la fine di Don Abbondio, un vaso di coccio tra vasi di ferro. I dazi annunciati dal Presidente Trump colpiranno settori chiave del Made in Italy, come l'agroalimentare e in particolare formaggi, liquori e carni lavorate.
A livello UE serviranno soluzioni rapide, efficaci e strutturali per venire incontro alle imprese che rischiano ingenti perdite. E se da un lato occorre continuare ad aprire sbocchi sui mercati intenzionali - accelerando l'applicazione degli accordi di libero scambio già sottoscritti, come col Mercosur - dall'altro occorre continuare a dialogare con i nostri alleati per evitare un'escalation che danneggerebbe il nostro tessuto produttivo.