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“Attingere ai fondi non utilizzati del Piano nazionale di ripresa (Pnrr) e ai fondi di coesione per incentivare le imprese colpite dai dazi americani”. Questa è la proposta avanzata al Governo che il Presidente di Confindustria, Emanuele Orsini, ha approfondito in un’ampia intervista al Corriere della Sera.
“Il rischio di delocalizzazione delle imprese verso gli Stati Uniti per evitare le barriere tariffarie ci preoccupa, i dazi possono incentivare certe scelte. Ne parlo dal mio discorso d’insediamento, prima che arrivassero i dazi: è logico che un imprenditore vada dove trova meno complicato lavorare”, ha spiegato il Presidente, anche se “ai nostri associati pesano più le difficoltà in Italia e in Europa che ci creiamo da soli: burocrazia, costo dell’energia, iper-regolamentazione. Per il resto in Italia c’è ancora tanta capacità di fare prodotti unici: trasferirsi negli Stati Uniti in molti casi semplicemente è impossibile. Pensi alla meccanica di precisione, alla moda, all’agrifood, all’alimentare e altri. Sono convinto che ce la potremo fare iniziando a ridurre le barriere interne”.
Orsini ha ricordato le recenti stime presentate dal Centro Studi di Confindustria: “quelle della crescita dell’Italia nel 2025 sono passate dallo 0,8% allo 0,6%. Banca d’Italia ha fatto lo stesso”. Secondo il Presidente, tuttavia, non finiremo in recessione, perché “Abbiamo una capacità di adattamento molto forte, se l’Italia reagisce e facciamo ciò che serve”. “Veniamo da 24 mesi di caduta della produttività, a cui ora si aggiunge l’incertezza generata dalla guerra commerciale. Come fa un imprenditore a investire così? Il primo punto, quindi, è che il governo presenti un piano industriale straordinario a due anni per gli investimenti dove si dica dove vogliamo andare”, quindi per il numero uno degli industriali è importante definire come salvaguardiamo i prodotti che funzionano, come assicuriamo la trasformazione delle imprese mature che hanno difficoltà dettate da norme sbagliate del passato recente e come apriamo nuovi mercati in America Latina, in India, in Africa.
Sulle proposte da fare al Governo, il Presidente ha affermato: “credo che in Europa un po’ di sveglia serva. L’Unione europea pesa per il 13,4% del Pil mondiale e per il 7% delle emissioni. Intanto altre grandissime economie non si impegnano come noi e non praticano la nostra responsabilità sociale d’impresa. Io sono per la tutela dell’ambiente e la mia stessa azienda ci lavora molto. Ma sull’auto elettrica o i certificati verdi, su cui si è creata una speculazione finanziaria, è chiaro che c’è molto da cambiare”. “Nessuno chiede a chi ha investito di tornare indietro, ma – si è chiesto Orsini - come si fa a lasciare tutta questa incertezza in Europa sulle multe per l’auto elettrica? Così gli investimenti non arrivano. Quindi penso che l’Europa debba fare un passo indietro, dev’essere velocissima nel dare linee chiare e sospendere oggi gli obiettivi verdi. Il tempo è scaduto”.
Per le imprese danneggiate dai dazi americani la Spagna ha promesso 14 miliardi di euro perché ha meno debito e cresce più di noi, “ma dobbiamo fare un provvedimento analogo, in modo che i nostri imprenditori abbiano delle certezze e rinizino a investire”, ha sottolineato il Presidente. “Ormai si è capito che il piano Industria 5.0 (6,3 miliardi di incentivi del Pnrr agli investimenti in digitale e ambiente) non funziona. È inutile che continuiamo a spingere su una misura che, se siamo fortunati, assorbirà due miliardi in tutto. Il Pnrr è stato pensato per abbattere le emissioni, ora invece l’obiettivo è salvare l’industria europea. Quindi con i soldi rimasti del Pnrr, come con quelli dei fondi di coesione — e sono davvero tanti — serve il coraggio di puntare sulle priorità attuali”.
Un nuovo piano di incentivi agli investimenti può essere una soluzione, “ma non al 5% o al 10%. Almeno al 30%. E con meccanismi di credito d’imposta semplici, senza troppa burocrazia, automatici. Altrimenti tante imprese medio-piccole non seguiranno”, ha spiegato il Presidente di Confindustria. “L’Italia può avere il voto decisivo nel fissare delle ritorsioni severe nei confronti delle Big Tech americane, che magari scattino tra uno o due mesi se fallisce il negoziato. Per ora non ho visto proposte. Credo che lo spazio per negoziare ci sia – ha concluso Orsini - se si pensa alle forniture americane all’Europa nell’energia o nella difesa. Queste ultime ci saranno ancora indispensabili per anni, come lo sono i satelliti e le licenze software americane. Sul tema fiscale delle Big Tech si può riflettere. Ma non credo che un negoziato muscolare abbia molto senso. In questa partita quelli che hanno più da perdere sono due: Germania e Italia. Non ce lo scordiamo”.