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Oggi il delegato di Confindustria per l’energia, Aurelio Regina, è intervenuto in audizione presso la Commissione Industria del Senato della Repubblica in materia di decreto agricoltura.
Tra le disposizioni contenute nel provvedimento in esame rientra anche una norma che prevede limitazioni all’uso del suolo agricolo per l’installazione di pannelli fotovoltaici a terra. La norma rischia di avere effetti che andrebbero oltre le sue finalità, impattando negativamente sulla produzione di energia rinnovabile necessaria a soddisfare gli obiettivi di decarbonizzazione competitiva delle imprese industriali. In particolare, l’articolo 5 limita la disponibilità di aree idonee ai fini della produzione di energia elettrica da impianti fotovoltaici collocati a terra. Nell’attesa della definizione di un decreto ministeriale che disciplini i criteri di individuazione delle aree idonee per l’installazione di impianti fotovoltaici - che auspichiamo venga approvato il prima possibile - vorrei concentrare il nostro contributo per suggerire alcuni miglioramenti per coniugare le esigenze di settori strategici per il Paese come l’agricoltura e l’industria.
Anzitutto occorre ricordare che il costo dell’elettricità pagato dalle imprese italiane resta il più alto rispetto ai principali paesi UE e anche rispetto agli altri grandi competitor internazionali, come gli USA. Questo dipende dal mix di generazione dell’elettricità, che in Italia è legato in gran parte alla generazione termoelettrica da gas naturale (54%) e non al nucleare e alle rinnovabili o al carbone come avviene altrove. Ci si attende che la crescita delle rinnovabili (al momento al 36% del mix) porterà una riduzione del prezzo del mercato elettrico.
Ad aprile 2024 il divario di prezzo tra Italia (a 86,80 €/MWh) e gli altri Paesi europei è stato molto marcato: + 39% rispetto alla Germania (62,36 €/MWh), + 207% rispetto alla Francia (28,23 €/MWh) e + 535% rispetto alla Spagna (13,67 €/MWh).
Confindustria continua a sostenere la definizione di un “prezzo unico europeo” e in quest’ottica, abbiamo anche presentato una proposta di riforma del mercato elettrico in Italia, con l’obiettivo di supportare l’espansione delle fonti rinnovabili e svincolare il prezzo dell’elettricità dai costi delle fonti fossili. L’idea è quella di creare un mercato in cui abilitare lo scambio di energia elettrica rinnovabile tra fornitori e utilizzatori. In tal modo il prezzo dell’elettricità per l’utente sarebbe basato sul costo medio delle rinnovabili e non più sul costo marginale del gas, con l’effetto di contribuire alla riduzione dei costi energetici e aumentare l’indipendenza e la sostenibilità delle imprese italiane.
Non possiamo poi non considerare che i nuovi orientamenti europei prevedono un ambizioso aumento dei target di riduzione delle emissioni climalteranti e, conseguentemente, la nuova bozza di Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (il PNIEC sarà ultimato entro l’estate) ha fissato importanti obiettivi a livello nazionale di decarbonizzazione e penetrazione delle fonti rinnovabili, prevedendo la realizzazione di 57 GW da solare fotovoltaico al 2030 rispetto al 2021. Rispetto a tale obiettivo siamo ancora lontani, dobbiamo ancora realizzare 50 GW, che in astratto richiederebbero circa 63.000 ettari se fossero collocati tutti a terra.
Considerato che il totale di superficie agricola in Italia è pari a 16,5 milioni di ettari (cioè, più della metà della superficie totale del Paese, che è pari a 30.207.300 ha) pertanto, se anche tutta la nuova capacità fotovoltaica necessaria da qui al 2030 fosse installata su aree agricole, si necessiterebbe di una estensione territoriale pari a circa lo 0,4%-0,5% del suolo agricolo nazionale. L’impatto sarebbe comunque minimo.
In questo contesto, quindi, proponiamo di modificare il decreto e di prevedere un’ulteriore eccezione a fianco di quelle già previste dalla norma, stabilendo che la norma di limitazione all’uso del suolo agricolo per l’installazione di impianti fotovoltaici a terra non si applichi ai progetti finalizzati all’autoproduzione di energia rinnovabile, anche a distanza, da parte delle imprese industriali o da soggetti terzi con cui le stesse sottoscrivono contratti di approvvigionamento a termine.
Una attenzione particolare va inoltre riservata ai settori energy intensive dell’industria, che sono alla base del sistema manifatturiero e che dovranno raggiungere entro il 2030 un target di riduzione delle emissioni del 62% rispetto al 2005 (obiettivo ETS). Per questo riteniamo che le aree dei siti oggetto di bonifica, inclusi i siti orfani, di proprietà di soggetti pubblici, dovrebbero essere offerte in concessione per l’attuazione della misura c.d. energy release. Si tratta, infatti, di aree contaminate e, nella maggior parte dei casi, a storica vocazione industriale in cui le opportunità agricole sono limitate nel periodo in cui viene attuata la bonifica, che pertanto dovrebbero essere destinate alla valorizzazione energetica.
Infine, l’articolo 6 del DL è dedicato alla peste suina africana (PSA). Questa epidemia, le cui prime avvisaglie risalgono agli inizi del 2022, si sta espandendo in modo rapido nelle regioni dove si concentrano l’allevamento e la produzione. Ne sono colpite alcune importanti filiere di produzioni DOP e le conseguenze di un’ulteriore espansione avrebbero effetti di vasta portata. Le misure introdotte dal DL appaiono senz’altro utili, ma andrebbero rafforzate, affidando al Commissario poteri straordinari, sulla falsariga di quelle che lo stesso DL ha attribuito al Commissario incaricato di fronteggiare l’emergenza legata alla specie Granchio Blu. In altre parole, è urgente implementare una strategia che possa contare su poteri e risorse adeguati alla sfida.