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L’economia tedesca si è fermata a metà 2019 e si prospetta debole anche nel resto dell’anno. Il suo modello di crescita rimane incentrato sulla domanda estera: l’export è pari a quasi metà del PIL (quello italiano a meno di un terzo). La frenata del commercio mondiale la danneggia particolarmente.
Nell’ultimo anno l'export tedesco è stato più debole di quello italiano. È più penalizzato dalla caduta delle vendite di auto (il 19 per cento del totale manifatturiero, contro l’8 italiano) ed esposto al rallentamento cinese e al rischio Brexit. Inoltre, la performance italiana è stata molto positiva nei beni di consumo (farmaceutici, abbigliamento, alimentari) e negli USA.
Occorre evitare, però, la Schadenfreude, cioè la soddisfazione per le difficoltà altrui. La debolezza della Germania, primo partner commerciale e produttivo dell’Italia, si trasmette alle industrie italiane più integrate nelle catene globali del valore e alle regioni più dinamiche, soprattutto nel Nord Italia. L’export italiano, quindi, appare destinato a frenare, a meno di un deciso miglioramento dello scenario internazionale.
Per approfondimenti si veda il Rapporto di previsione — autunno 2019.
Il Green New Deal punta a una piena de-carbonizzazione della società europea entro il 2050, ponendo ancora una volta la UE all’avanguardia nella lotta globale ai cambiamenti climatici.
Il numero di imprese attive nella manifattura ha subito negli anni successivi alla crisi un costante ridimensionamento. Dal 2008 al 2018 la contrazione è stata di oltre 100mila unità.
I recenti accordi commerciali dell’Unione europea con il Canada, in vigore da fine settembre 2017, e con il Giappone, da febbraio 2019, hanno favorito la dinamica delle vendite italiane.
Nel 2019 solo un’accelerazione dell’export, seppure a ritmi non brillanti, dopo il rallentamento del 2018, potrebbe scongiurare il rischio di una recessione dell'Italia.