“Sono i doveri comuni a tutti gli uomini, ma per i datori di lavoro sono più gravi perché il datore di lavoro ha maggiori possibilità con la sua opera di influire sul benessere del prossimo”.
Così il presidente di Confindustria Angelo Costa, nella relazione per l’incontro di Chieri (luglio 1951), definiva il ruolo dell’imprenditore e la sua capacità di incidere sul benessere della comunità. Armatore ligure, fu per due volte alla guida degli industriali italiani: la prima negli anni della ricostruzione (dal 1945 al 1955); la seconda in quelli del boom economico (dal 1966 al 1970).
Convinto liberista, Costa criticò i vincoli imposti dal regime fascista come rivolti a instaurare un’economia controllata e si batté per rimarcare il ruolo vitale delle piccole e medie imprese nello sviluppo industriale del nostro Paese. L’economista Marco Vitale nel tratteggiarne la personalità lo definì “uomo generoso, che ha il gusto del dare, del contribuire, del servire”.
Molti sono i passaggi dei suoi scritti, dei discorsi, delle lettere in cui affrontò il rapporto tra gli aspetti economici dell’attività d’impresa e le questioni morali, soffermandosi sui concetti cristiani di carità e responsabilità verso il prossimo, sottolineando sempre che non esiste contrasto tra leggi economiche e leggi morali in quanto:
“le leggi economiche regolano il miglior uso dei doni che Dio ha dato all’uomo, se si contravviene alle leggi economiche, si fa cattivo uso dei doni di Dio”.
Per approfondire:
Angelo Costa, Scritti e Discorsi (1949-1951), vol. II, Angeli, Milano, 1980